Oggi Vanzetti si è preso una giornata di vacanza, dopo i bagordi di ieri sera. Ergo ha annullato tutti i suoi impegni e ha archiviato il caso tesina, un parto più che sofferente, necessaria al riconoscimento di due sacrosanti crediti.
"Strimpellerò la chitarra tutto il giorno, leggerò e ascolterò musica", questo mi sono detto, io, Bartolomeo Vanzetti, immolando la mia giornata alla solitudine e all'arte, intesa come "arte del fancazzismo". Ed è a questo punto che mi ritorna alla mente la frase di una canzone, "Just a state of mind", cantata da Graham Coxon nel suo ultimo album.
In effetti funziona proprio in codesto modo: è solo un mio stato mentale. Il mio approccio a questa giornata è da ricercarsi nella direzione in cui la testa del sottoscritto ha deciso di andarsene. I fatti miei. Per oggi nessuno spazio alle pubblicità, agli sponsor, ai testimonial, ai varietà che giungono a me sotto forma di telefonate, amici, conversazioni più o meno piacevoli e quant'altro.
E la canzone di Coxon si sta facendo strada sempre più prepotentemente. Non mi rimane altro che cercare il cd intitolato "Love, travels at illegal speed" e farne la colonna sonora della mia giornata fondata sull'autogestione.
Ecco dove si erano fermati i Blur qualche tempo fa. Il loro discorso lo ha continuato il buon vecchio Graham, ormai ex chitarrista della storica formazione britannica. Ovviamente ancora più punk, più sporco e più disilluso. "Rimandendo ancora per conto mio" è il titolo della prima canzone dell'album e pare una risposta a chi continua a domandare all'artista se mai un giorno tornerà a suonare con Albarn e soci. Il pezzo è abbastanza teso, rockettoso e incazzatello e io personalmente adoro la parte in cui dice "Am I gonna let you leave without a sound?" che ci sta tutta, sia musicalmente che come significato.
Sarà che preferisco decisamente la pronuncia britannica, rispetto a quella ammerighena, ma la voce scazzata di Coxon è spettacolare, soprattutto quando chiede alle donne se ci si può incotrare in camera da letto oppure in spiaggia, evitando di farlo sapere al loro fidanzato (Don't let your man know).
E dopo qualche pezzo con accenni punk rock, ma suonati con un po' più di professionalità e tecnica, il nostro Vanzetti chiude gli occhi e ascolta in estasi la tanto millantata "Just a state of mind". Un bel lentone acustico, sempre e comunque sporcato dalla distorsione della telecaster, di cui l'artista ne è l'alfiere. Bene così. La ascolto un'altra volta. E un'altra ancora, alla faccia dello shuffle.
Dopodichè si arriva alla schiettezza di "You & I" , la canzone che adoro di più. Semplice, ma simpatica come un pugno nello stomaco. E lui che la canta come se fosse una filastrocca. La stessa frase ripetuta. Che ti entra in testa e non puoi fare a meno di fischiettarla alla fermata del bus. Sacco ne è testimone. Altrochè se ne è testimone.
Le aspettative di chi, come me, voleva ascoltare qualcosa di piacevole e non soporifero, cercando di attribuire un minimo di significato a questo stramaledettissimo pomeriggio, non verranno deluse. La giornata di sicuro non cambierà, ma almeno avrete ascoltato un ottimo album, in barba ai cultori della tecnica e dei virtuosismi.
E se ancora sul vostro viso non è spuntato alcun sorriso, ascoltatevi la beatlesiana sbilenca "What's he got". I quattro baronetti ubriachi in un qualsiasi pub di Brighton.
Coxon riesce ad appiccicarci addosso questo strano puzzo di birra e fumo, un continuo annebbiamento dovuto a sbornia e pioggia battente. Non è nemmeno sabato sera. Ergo posso ritenermi soddisfatto del trattamento subito. Grazie Graham, ci si becca in giro. Ma la prossima volta la macchina la tiro su io.